NOTIZIE: OCCHIO AL TESTO (E AL CONTESTO)

Written by Rossana Brambilla. Posted in homepage, Ideologico quotidiano

di Rossana Brambilla

In genere le notizie, soprattutto se di cronaca nera, si ascoltano in tv, o si leggono su Internet e sui giornali.

Un po’ per caso e un po’ per lavoro, negli ultimi anni ho avuto modo di conoscere da vicino alcune vicende di cronaca nera e rosa, e di rendermi conto di come gli articoli di giornale non riuscissero a parlare di quelle precise realtà. Quelli di cronaca rosa, in parte per inesattezze e in parte per omissione di alcuni dati, tendevano a sollecitare sentimenti di pena e di buonismo. E quelli di cronaca nera, con l’uso di termini forti fin dai titoli, veicolavano una loro astratta e riduttiva interpretazione dell’accaduto, condannando a priori dei colpevoli in modo indiscusso e assoluto.

Da più parti e da tempo, in relazione alla scrittura delle notizie, vengono sottolineati aspetti ‘critici’, sui quali occorrerebbe una maggiore vigilanza.

Per esempio sui linguaggi e sui singoli termini utilizzati, sempre esposti al rischio di privilegiare alcune interpretazioni dell’accaduto (e magari proprio a fronte di pochissimi dati a disposizione), inducendo un certo modo di sentire e una probabile reazione di chi legge. Penso a termini come “femminicidio”, “bullismo” o “bullo/bulli”, “branco”, “pirata”, ecc., che offrono determinate chiavi di lettura delle vicende riportate, escludendo a priori letture più complesse delle storie dei singoli, e delle responsabilità. Oppure penso a quando, in un fatto di cronaca (specie se nera), del presunto colpevole o del colpevole vengono evidenziate la nazionalità o l’appartenenza religiosa, senza che questo sia rilevante ai fini della notizia in sé.

Una maggiore vigilanza occorrerebbe anche nell’uso delle immagini, a volte stereotipate e quindi di fondo disinformanti, o che nulla aggiungono all’informazione in sé, contribuendo invece a sollecitare un certo immaginario. Penso a quando notizie di cronaca o di indagini vengono ripetutamente affiancate da immagini/fotografie di un presunto colpevole, imponendolo così nell’immaginario di chi legge, ancor prima che quella persona sia stata considerata colpevole dai nostri tre gradi di giudizio.

Immagini e linguaggi usati in modo superficiale e stereotipato finiscono per produrre effetti umani, sociali e culturali molto gravi: alimentano una mancanza di riflessività generale (peggiorando una preesistente sofferenza della nostra società), sollecitano emozioni e sensazioni rozze e semplificate, producono posizionamenti reattivi e proposte di soluzioni superficiali, immediate e claustrofobiche, persino a livello politico.

Ma nel modo di costruire le notizie, insieme a questi aspetti e ai rischi che ad essi si legano, un altro aspetto si aggira ancora più indisturbato. Esso riguarda tutti quei dati di contesto che vengono tralasciati, che rimangono nell’ombra, ma che – se ricercati e scritti – permetterebbero di comprendere alcune notizie in modo molto/completamente diverso, o se non altro di preservare la complessità della vita, mettendone a fuoco anche le contraddizioni. Penso al recupero di uno scenario (materiale-concreto-ambientale, storico, sociale, umano, ovviamente a seconda del genere di notizia, e magari in un secondo momento rispetto all’evento in sé) in cui una determinata vicenda – magari anche tragica – ha potuto (ripeto: potuto!) svilupparsi; a una maggiore fedeltà alla complessità delle vicende e delle vite umane, che possono avere uno stesso epilogo (magari purtroppo drammatico, o tragico) a partire da intrecci e significati completamente differenti; a una maggiore capacità di recuperare ingiustizie stratificate e sedimentate, di chiamare in causa responsabilità diversificate (anche di chi legge… Perché no?), dietro a un certo evento.

Certo, c’è un momento, quello del fatto in sé, specialmente se drammatico o tragico, che in qualche modo richiede di rimanere fermi sul dato, nel rispetto dell’ingiustizia del fatto in sé e del dolore. Anche se magari, qui, si potrebbe migliorare – come in realtà ultimamente sto vedendo fare in notizie di cronaca riportate su La Stampa – una certa essenzialità, rispettosa del sapere così poco di quanto accaduto.

Ma c’è poi un momento, successivo, dove alcuni fatti, specialmente se ripresi, richiederebbero questo sforzo di contestualizzazione, per aprire una riflessione, e con essa le possibilità di dare significati complessi, di dar vita ad azioni e di interrogare responsabilità a vari livelli, personali, sociali e politiche.

Per far capire meglio cosa intendo, vorrei spostarmi per un attimo su un altro terreno, quello pedagogico, a me più famigliare. Poco tempo fa, alcune insegnanti mi parlavano di un bambino, con diverse difficoltà, che in certi momenti faticava a rispettare le regole e che qualche volta dichiarava addirittura apertamente di non volerle rispettare. Se io mi fossi fermata ai pochi dati, più visibili (difficoltà del bambino e comportamenti ‘indisciplinati’), avrei concluso che la mancanza di disciplina era per forza legata alle sue difficoltà, e che l’azione educativa doveva insegnargli – per quanto in modo curato e giocoso – che le regole vanno rispettate. Tuttavia, ricostruendo la sua esperienza quotidiana anche al di fuori della Scuola, ho capito quanto quel bambino fosse continuamente sottoposto a innumerevoli regole e attività riabilitative dai più diversi specialisti, e di come la Scuola dovesse lavorare nella direzione di attenuare l’esperienza di regole imposte dall’esterno, per esempio facendogli sperimentare più spazi di gioco libero.

A dire il vero, tornando alle notizie, io non saprei se un modo più contestualizzato di riportare i fatti rientri nei compiti del giornalismo. Forse sì, perché costruire la notizia significa pur sempre leggere, interpretare e ricomporre. E farlo in modo più contestualizzato significherebbe continuare a lavorare, ma scegliendo con consapevolezza una precisa strada, un metodo. Da un altro punto di vista, inquadrare in maniera dialettica e approfondita, magari nei giorni seguenti all’evento in sé, è un compito di studi disciplinari specifici. Quello che resta, in ogni caso, è che qualsiasi costruzione di una notizia produce sempre degli effetti, persino quando al giornalista sembra di procedere in modo automatico e schematico. Costruire una notizia è sempre un atto politico, una scelta di campo.

Qualche persona, con fare pragmatico, potrebbe obiettare che contestualizzare di più e meglio sarebbe bello e nobile, ma che nei fatti è impossibile, un compito schiacciato (insieme a tanto altro e in buona compagnia) dalle solite logiche economiche e dal troppo poco tempo a disposizione per leggere-cercare, riflettere, raccontare. Eppure un articolo comparso non molto tempo fa su La Repubblica dimostra che ricostruire un contesto nei suoi diversi elementi (fisico-ambientale, storico, sociale e umano, comprendendo diverse voci – non di specialisti, ma di chi vive le realtà –) è possibile, e può sul serio giocare un ruolo critico, aprire una riflessività, lottando contro reazioni semplificate dei singoli e della politica:

http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/11/15/news/milano_la_nostra_via_padova_non_e_il_bronx_ma_la_citta_ci_ha_abbandonati_-152026303/

In questo articolo, che partiva da alcuni fatti tragici accaduti in una precisa zona di Milano sul finire del 2016, ho avuto la possibilità di ‘vedere’ – nello scorrere delle righe – quella zona di Milano, di farmi  un’idea della sua vita, di un clima complesso; mi sono state restituite alcune delle tante e differenti vite che la abitano e che ci lavorano, da tempo, e di come forse in quella realtà si potrebbe lavorare diversamente, al di là di alcuni slogan. Ma ciò che più mi ha colpita è che questo articolo, nei giorni successivi, è stato ripreso da persone che abitano in quella zona, e che in esso si sono riconosciute.

L’articolo in sé, al di là dei suoi contenuti specifici, mostra un modo di procedere, un metodo, i passaggi di un processo che – proprio in quanto tale – ha sempre bisogno di dialogare con altre ricostruzioni, capaci però di restare su un piano preciso: dissotterrare (quasi archeologicamente) le condizioni più profonde di una situazione. E aprire così un confronto sulle strategie in grado di trasformare, sempre in profondità, quelle stesse condizioni.

La capacità di ricostruire i contesti dei fatti nella loro complessità, però, non è mai solo l’esito di un gesto ‘tecnico’, di una tecnica appresa e ripetuta. Può trovare la sua piena realizzazione solo se mossa da un desiderio, che nasce a sua volta da qualcosa di ancora più profondo: una vitalità di rapporto col proprio mestiere e la realtà; una passione del riflettere, del ragionare, del capire, dello scoprire, del rispettare; e magari dall’amare e da un preoccuparsi del destino di ciò di cui si sta scrivendo. Richiede ‘anime vive’, per capovolgere il solenne ed evocativo titolo di Gogol’.

Per contestualizzare servono poi esercizio, abilità, senso della ricerca, doti di osservazione e di ascolto, intuizione.

Si tratta di uno sforzo umano e tecnico al tempo stesso, capace però di ‘spostare’ la vita di chi legge, di chi scrive, e di ciò che sta in mezzo e che in fondo lega scrittore e lettore, contribuendo forse a:

“Meno comunicazioni di massa, più vie-di-mezzo, cioè ipotesi di connessioni che non si fanno impaurire, passaggi temporali indagati personalmente (sempre che la persona, continuando a usare sto nomignolo, non si reputi particella di una massa matassa né individuo scisso). […] un’offerta di impegno spostato, un ampio sogno di carne per chi ci crede.”[1]

 

ROSSANA BRAMBILLA

Rossana Brambilla è Dottoressa di ricerca in Scienze umane, indirizzo pedagogico. Nelle scuole e nei servizi educativi extrascolastici, ricerca, sperimenta e sviluppa pratiche e strumenti – di osservazione, confronto, dialogo, progettazione e valutazione – che aiutino i processi educativi a rimanere vivi e a rispondere ai bisogni reali dei singoli soggetti. Prima e oltre, studia modi di guardare l’umano capaci di presidiarne la complessità e l’apertura.

[1] G. Majorino, La dittatura dell’ignoranza. Il regime dell’invisibile, Milano, Tropea 2010, 75.

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