L’illuminismo di Foucault e l’Ausgleich di Freud

Written by Adriano Voltolin. Posted in Articoli

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L’editore Mimesis ripropone, nella collana Minima/Volti, il breve e celeberrimo testo di Kant Che cos’è l’illuminismo affiancandogli la riflessione di Michel Foucault sullo stesso tema (Kant, Foucault Che cos’è l’illuminismo Mimesis, Milano-Udine 2012). Prendiamo in considerazione in questa sede lo scritto di Foucault dal quale risalta la distanza dalle riflessioni di Adorno ed Horkheimer ed il costeggiamento costante, anche se mai denunciato, con i temi che sono al centro della riflessione di Freud nel Disagio della civiltà.

Per la teoria critica l’illuminismo appare come ciò che recide l’incommensurabile1 in quanto sopprime, assieme al dominio immediato, anche la soggettività legandola alla mediazione necessaria che rapporta ogni ente ad ogni altro. La sua tendenza è quella di una uguaglianza repressiva che sta alla base dell’ineguaglianza tra gli eguali. Kant, scrive Adorno, esprime in modo distorto ciò che sarebbe una richiesta sociale motivata2. L’oggettività, la coscienza dell’io, non è pensabile senza la società…i postulati della ragion pratica che trascendono il soggetto: Dio, libertà e immortalità implicano la critica dell’imperativo categorico della ragione soggettiva pura. L’illuminismo, per la teoria critica, come per Marx, porta a compimento l’ideologia della società liberale delineando il profilo di una collettività di individui senza società, di una rete di relazioni codificate a priori e dalla

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quale vengono esclusi quegli elementi della soggettività che non possono rientrare in quanto è dominabile da coloro che Nietzsche chiamava i grandi artisti di governo, come Confucio o Napoleone.

illuminismo1Foucault rovescia questa impostazione: l’illuminismo non è affatto un compimento, bensì qualcosa di sempre aurorale che contiene gli elementi che possono essere individuati come una critica permanente del nostro essere storico: non si ha quindi a che fare, nel testo di Kant, con una rete di uguaglianza che sottende la disuguaglianza, ma con una modernità la cui essenza è l’eroicizzazione del presente, alla Baudelaire, cioè l’afferrare ciò che sta nel presente riconoscendolo come autonomo da un passato e da un futuro. L’illuminismo è quindi ethos che spinge ad analizzare ciò che è coassiale al presente non nel tentativo di definirne un profilo ed un perimetro che circoscrivano le possibilità di cambiamento: si debbono invece studiare le trasformazioni circoscritte, come i rapporti tra i sessi, la relazione con l’autorità ecc. dove cambiamenti reali ve ne sono stati; e bisogna studiare l’archeologia del nostro sapere, del potere, dell’etica. In altri termini, la funzione storica di Kant sarebbe quella di aver preconizzato l’avvento di Foucault.

L’ottica dello studioso francese tuttavia pone alcune questioni di fondo al nostro tempo:

a) come si attiva nella società odierna un ethos che porti a delle modificazioni?

b) come si sgancia la capacità di crescita dei soggetti dal reticolo dei poteri e dalla loro intensificazione?

c) come ci si muove dalla staticità di una ricerca archeologica e geologica? (Come si arriva all’undicesima tesi su Feuerbach? proporrei interpretando il non detto di Foucault)

E’ precisamente attorno a queste domande che si sviluppa la posizione di Freud e della psicoanalisi sulla Kultur.

Contrariamente a Foucault che pure scrive, rispetto a Freud, non solo dopo quasi mezzo secolo, ma soprattutto dopo tutto ciò che è avvenuto tra gli anni trenta e gli ottanta del ventesimo secolo, la riflessione freudiana parte non da quanto di progressivo è contenuto nell’illuminismo, ma dalle ragioni del fallimento della società perfetta che vi era delineata. Freud è consapevole della parzialità dell’ottica psicoanalitica, ma il suo rimprovero al marxismo, nel quale pure vede un riflesso illuministico, sta nella sottovalutazione che quello mostrò rispetto alla natura umana che si pone come il primo ostacolo ad una società perfetta. La relazione con gli altri esseri umani, la società, è per Freud il motivo maggiore di sofferenza per l’Io e per la sua interna componente narcisistica: il decadimento del corpo e l’ostilità delle forze della natura appaiono difatti meno drammatiche in quanto non implicano necessariamente una frustrazione del narcisismo primario. La vita è troppo dura per noi3 e per sopportarla dobbiamo ricorrere – è un tema questo ricorrente anche in Bion – a dei rimedi, dei diversivi potenti, dei soddisfacimenti sostitutivi tra i quali vi sono la nevrosi, l’alcool ed il ritiro monastico. Non è possibile conciliare le pulsioni con l’ordine sociale – è questo il punto ove Freud (ma anche Bion e Lacan) si differenzia maggiormente da Kant, ma anche da Marx: si può al più raggiungere un accomodamento (Ausgleich) tra individuo e società che è sempre faticoso e, soprattutto, non è mai perfetto. Non si può discutere su quale sia l’accomodamento migliore: è solo la prassi che lo rende possibile. Mentre sulla natura umana la differenza con Marx e con Kant è massima, qui invece abbiamo una quasi identità tra Marx e Freud: se per il primo difatti non sono le interpretazioni che cambieranno il mondo, per Freud la differenza tra il nevrotico ed il non nevrotico sta precisamente nel

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fatto che per il primo bisogna cambiare il mondo per poter guarire, mentre per il secondo è la guarigione (sempre di accomodamento tra la piena libertà individuale ed il legame sociale si tratta, non di restitutio ad integrum) che consente di adoperarsi per il cambiamento. In Freud, all’opposto che in Kant, non si tratta di trovare le condizioni formali che consentano all’individuo di entrare in una relazione di scambio con la comunità, quanto di mettere a fuoco gli ostacoli che si frappongono a che ciò avvenga.

La rinuncia ai soddisfacimenti sostitutivi può essere tanto più grande quanto maggiore è la capacità di sopportare la ferita narcisistica. Bion metterà a punto i concetti di funzione α e di capacità negativa per dare conto dei meccanismi che presiedono ad accomodamenti accettabili. Una relazione sufficientemente buona, come direbbe Winnicott, con la vita della comunità e con le sue regole non potrà tuttavia mai prescindere da quella impossibilità di sopportare tutte le delusioni della vita dalla quale Freud era partito.

La libertà individuale non è per Freud il frutto di una uscita dall’uomo da uno stato di minorità (Kant): al contrario, essa viene ridotta dalla civiltà e non ampliata. Ecco allora che la forbice che Foucault vede realizzarsi tra l’espansione della coscienza ed il reticolo sociale si divarica e non si riduce: questo non è necessariamente dovuto ad una patologia dello sviluppo, quanto alla sua struttura. Diversamente infine da quanto Foucault ritiene non siamo di fronte, oggigiorno, al problema di come agire per un cambiamento in positivo: dal tempo in cui – alla fine degli anni sessanta – le relazioni d’autorità, i rapporti tra i sessi, l’educazione erano stati rivisti alla radice dal movimento del sessantotto, molto, se non proprio tutto, è cambiato. Paradossalmente è il capitalismo nell’epoca della sua finanziarizzazione ad avere realizzato il massimo di libertà (nella clinica contemporanea la struttura edipica non è dissolta, ma si è piuttosto rovesciata nell’ossessionante presenza della sua mancanza) intesa come pulsione non ancora regolata dalla legge edipica. Mai nella storia le pulsioni orali e la conseguente svalutazione narcisistica della regola hanno avuto uno sviluppo talmente impetuoso e mai, soprattutto, il sacrificio della regola e della tutela del bene comune ha trovato un così vasto consenso.

Se negli anni della guerra di Spagna l’aberrante viva la muerte delle formazioni franchiste rendeva bene la considerazione perversamente positiva delle pulsioni distruttive, il non meno aberrante greed is good della Wall Street degli anni ottanta mostra come meglio non si potrebbe l’esaltazione dell’oralità e dell’appropriazione in una dimensione di una cieca esaltazione della cieca vita…che schiaccia tutto ciò che è vivo4 .

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  1. Horkheimer M. Adorno W. T. Dialettica dell’illuminismo Einaudi Torino 1966, pag. 21 []
  2. Adorno W. T. Dialettica negativa Einaudi, Torino 2004, pagg.246-247 []
  3. Freud S. Il disagio della civiltà in OSF vol.X, Boringhieri, Torino 1978, pag.567 []
  4. Horkheimer M. Adorno W.T. op. cit, pag.53 []
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Adriano Voltolin

Adriano Voltolin, psicoterapeuta, psicoanalista, è Presidente della Società di Psicoanalisi Critica, Direttore scientifico dell’Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica di Sesto San Giovanni (Milano) e Direttore della Rivista “Costruzioni psicoanalitiche”. E’ docente presso il Corso di Teoria Critica della Società presso l’Università di Milano-Bicocca. E’ autore di numerose pubblicazioni sulla teoria e la clinica psicoanalitica.
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